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La concorrenza: una nuova sfida

Nel 1984 avvenne una svolta nella storia della Suva: con la nuova Legge federale sull'assicurazione contro gli infortuni venne meno il monopolio dell'Istituto di assicurazione e si instaurò un monopolio parziale. All'improvviso la Suva dovette misurarsi con dei concorrenti: non era più un istituto, bensì un'impresa che necessitava di una strategia aziendale.

Indice

      «Politica aziendale», «ottica imprenditoriale», «competitività». Per la Suva, che aveva alle spalle una lunga storia monopolistica, questi concetti erano del tutto nuovi. Nel 1984, con l'introduzione dell'obbligo assicurativo generalizzato, si assistette alla liberalizzazione del mercato delle assicurazioni contro gli infortuni. La Suva continuava a detenere il monopolio per il settore dell'industria e dell'artigianato, ma il contesto economico nel quale si trovava a operare si era notevolmente ristretto. Il suo ambito di attività si era ampliato un po' solo grazie all'assicurazione dei comuni e dei Cantoni, che con il nuovo regime potevano scegliere se assicurarsi alla Suva o presso un assicuratore privato. Il 27 per cento dei Cantoni e il 15 per cento dei comuni scelsero l'ente di diritto pubblico.

      La Suva poté allargare solo provvisoriamente la propria base di assicurati. Gli ambiti più favoriti dalla crescita economica erano appannaggio degli assicuratori privati: la legge, infatti, escludeva la Suva dal settore dei servizi. Nonostante la separazione dei mercati, la Suva era esposta quantomeno a una concorrenza indiretta, legata al fatto che ora vi era la possibilità di fare dei confronti: perché, ad esempio, i premi assicurativi per gli impiegati bancari dovevano essere diversi da quelli dei dipendenti statali?

      «Impresa» anziché «istituto»

      In virtù di questo scenario, per la Suva era ormai chiara la necessità di adottare una nuova filosofia. Doveva lasciarsi definitivamente alle spalle l'immagine di «istituto» e affermarsi nel suo ruolo di impresa.

      Una nuova filosofia implicava un cambio di mentalità, e il processo doveva partire dai collaboratori. Per buona parte dell'opinione pubblica, l'«istituto» era sinonimo di «mentalità burocratica», ottusità e chiusura. Gli ispettori, che si presentavano sui cantieri o nelle fabbriche con un lungo cappotto nero di pelle, venivano percepiti alla stregua di agenti di polizia e gli orari di apertura degli sportelli per il pagamento delle rendite apparivano troppo rigidi.

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      Nel 1985 si voltò pagina. Secondo il presidente del Consiglio di amministrazione Luigi Generali, nuove linee guida e una «politica aziendale» avrebbero dovuto «influenzare il comportamento dei collaboratori», affinché la Suva, in virtù delle nuove disposizioni di legge, potesse consolidare la propria posizione «sia in ambito assicurativo che nel campo della sicurezza sul lavoro». Come puntualizzò Generali nel suo rapporto annuale del 1987, spesso dal controllo alla consulenza il passo è breve.

      «Riuscire a compiere questo passaggio, però, aiuta in misura determinante a liberarsi dell'immagine di azienda burocratica.»

      Intensa attività di marketing con serie TV e test dell'udito

      Il secondo passo consisteva nel sensibilizzare l'opinione pubblica. Dai sondaggi di opinione era emerso che il grado di notorietà della Suva si attestava all'incirca al 90 per cento nella Svizzera tedesca e meridionale, ma solo al 55 per cento nella Svizzera romanda. Le offerte nel campo della riabilitazione erano pressoché sconosciute. Inoltre, la maggioranza delle persone era convinta che la Suva fosse «un'assicurazione statale come l'AVS, finanziata da sovvenzioni», che fosse «degna di fiducia e progressista», ma al contempo anche «pedante, lenta e burocratica». Proprio su questi aspetti bisognava intervenire.

      Nel 1987 la Suva elaborò per la prima volta un piano di marketing e si rese visibile al pubblico con la serie TV «Trödler & Co.», composta da dieci brevi episodi incentrati sul tema della prevenzione degli infortuni che venivano trasmessi durante il programma serale «Dienstags-Tips» della televisione svizzera, nonché tramite l'iniziativa per promuovere l'uso dei parastinchi tra i calciatori e il test dell'udito svolto al telefono, che era destinato non solo agli assicurati, ma anche alla popolazione in generale ed ebbe un successo incredibile: nei primi 15 mesi la Suva ricevette oltre 230 000 chiamate.

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      Nel 1988 la Suva adottò anche il suo primo logo, che conteneva solo un marchio figurativo e le sigle nelle tre lingue nazionali. Internamente, per la sua forma particolare, era noto anche come «Suva-Bretzeli».

      Per rafforzare la sua presenza nella Svizzera romanda, la Suva aprì un ufficio delle relazioni pubbliche a Losanna. I primi risultati della campagna di marketing furono promettenti: i sondaggi di opinione evidenziarono una maggiore simpatia da parte del pubblico. Nel 1990 la Suva iniziò a impegnarsi maggiormente sul fronte della sensibilizzazione. Girò un film sul tema della sicurezza, che distribuì a scuole professionali e tecniche, sindacati, associazioni e aziende, e aderì all'iniziativa «Fatti, non parole», volta a promuovere la presenza delle donne nel mondo del lavoro.

      Steinegger: orientamento al «cliente»

      La nuova strategia aziendale prese slancio quando Franz Steinegger fu eletto presidente del Consiglio di amministrazione. Nel suo discorso di insediamento, tenutosi il 7 dicembre 1990, il consigliere nazionale per il PRD e presidente del partito mise in guardia da un fatto ovvio ma ingannevole.

      ««Quale ente di diritto pubblico» la Suva disponeva di «un campo di attività definito dalla legge», ma non per questo poteva «svolgere i suoi compiti nel più totale distacco, isolata dal resto del mondo, aspettandosi la gratitudine del pubblico per le prestazioni erogate».»

      Il fatto che sia «la legge a stabilire il segmento di mercato in cui operare […] rappresenta piuttosto un handicap». Non era certo una «situazione facile» gestire un mercato in declino, per questo la Suva doveva «vedersi come impresa e non come istituto» e quindi «orientarsi alle esigenze del mercato, vale a dire degli assicurati e delle aziende». L'obiettivo da perseguire era aumentare la competitività e la produttività.

      Questo nuovo orientamento era sostenuto dalla Direzione. Anche alla luce delle difficoltà finanziarie Dominik Galliker, presidente della Direzione della Suva, segnalò una «condizione di sofferenza» e un'urgenza di intervento. Nel 1991 presentò la strategia aziendale «Suva 95 Plus», che puntava sulla vicinanza al cliente, da un lato attraverso campagne per immagini rivolte al grande pubblico, dall'altro attraverso un adeguamento delle strutture interne, in particolare con la valorizzazione delle agenzie sul piano del front office.

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      Incontro di kick off sulla strategia aziendale «Suva 95 Plus»

      L'importanza della strategia risultò evidente nel corso di un evento organizzato il 5 febbraio 1992 a Soletta. «Per la prima volta in 75 anni di storia della Suva» disse Dominik Galliker, furono «convocati tutti i quadri, per un totale di circa 350 collaboratori». Nel suo discorso inaugurale si proiettò nel 2018 e spiegò ai quadri direttivi «perché la Suva purtroppo non è più in grado di festeggiare il centenario dell'avvio della sua attività»: 25 anni prima si era persa l'occasione di adottare la strategia giusta per far fronte agli sviluppi economici e politici.

      Grande polverone intorno al «Big Bang»

      Che si trattasse di una svolta storica per la Suva emerse anche dal nome scelto internamente per la prima campagna pubblicitaria: «Big Bang». Con annunci, cartelloni e spot televisivi si voleva mostrare «come il corpo umano sia bellissimo e prezioso, ma anche quante persone ogni anno subiscono lesioni agli occhi, all'udito, alle mani, alla schiena e ai piedi», come spiega il rapporto di gestione del 1992.

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      Lo slogan recitava «INSAI. Sicurezza a misura d'uomo» e poneva l'accento sullo scopo della Suva: fare giorno per giorno quello che gli uomini sono in grado di fare per i loro simili.

      La campagna non raccolse consensi da parte di tutti. Le imprese private erano «in grado di stimarne i costi» affermò Peter Keller, presidente della Keller AG Ziegeleien, a Pfungen, in occasione della seduta del Consiglio di amministrazione del 20 novembre 1992. Questo suscitò critiche e incomprensioni. Da «un'assicurazione di impronta monopolistica» ci si sarebbe aspettati un impiego migliore dei fondi a sua disposizione. Dominik Galliker cercò di relativizzare, affermando che la Suva era lieta delle reazioni positive suscitate dalla campagna e che la sua professionalità ne usciva rafforzata. Al contempo si mostrò comprensivo nei confronti dei detrattori, secondo cui era fuori luogo spendere così tanto per attività di marketing in concomitanza con l'annuncio di un aumento dei premi. In seguito la Suva si impegnò per non dare l'impressione di «sprecare milioni di franchi in campagne pubblicitarie», come sintetizzò Galliker nella seduta del Consiglio di amministrazione del 1° dicembre 1995.

      Nel 1995 riferì però anche i successi della strategia «Suva 95 Plus». La Suva aveva registrato un miglioramento significativo nell'assistenza al cliente, una condizione indispensabile per mantenere la propria «competitività all'interno del panorama svizzero delle assicurazioni sociali». I consulenti alla clientela avrebbero fatto visita almeno una volta ai grandi clienti, poi alle aziende di medie dimensioni ed entro il 1998 si sarebbero dedicati anche ai clienti più piccoli.

      Una strategia di marchio come «marchio di fabbrica»

      La nuova strategia della Suva acquistò visibilità tra il pubblico con il concetto di marchio del 1995, che fino al 2018 ha identificato i vari ambiti di attività: «SuvaPro» (sicurezza sul lavoro), «SuvaLiv» (sicurezza nel tempo libero), «SuvaRisk» (assicurazione) e «SuvaCare» (riabilitazione). Rappresentando visivamente la strategia globale, ha accompagnato l'immagine della Suva per oltre 20 anni.

      Nel 2018 la Suva è tornata a una «strategia one brand». Oggi il nome «Suva» viene utilizzato come marchio senza aggiunta di testo («Più che un'assicurazione») per tutte le prestazioni e le offerte. Sono scomparsi i diversi colori e caratteri di testo.

      La Suva viene «germanizzata»?

      Se a metà degli anni Novanta il ricorso alla lingua inglese per rivolgersi all'intera Svizzera fu accettato quasi senza critiche, il fatto di utilizzare solo «Suva» come marchio anche nella Svizzera romanda e meridionale, rinunciando a «CNA» e «INSAI», provocò l'irritazione dei membri del Consiglio di amministrazione della Suva originari della Svizzera francese. A Ginevra Roland Conus, segretario centrale della Federazione del personale dei tessili, della chimica e della carta, si dichiarò dispiaciuto per la «germanizzazione del nome della nostra assicurazione». Franz Steinegger, presidente del Consiglio di amministrazione, spiegò che

      ««Suva» non era più «la sigla di ‹Schweizerische Unfallversicherungsanstalt›, bensì un marchio come ad esempio ‹Knorr›, ‹Esso› ecc.».»

      Pertanto non si potevano utilizzare tre lingue diverse, come aggiunse Dominik Galliker, presidente della Direzione della Suva.

      I rappresentanti della Svizzera romanda non erano soddisfatti della decisione presa. Nel 1996 intervenne Pierre Triponez, direttore dell'Unione svizzera delle arti e mestieri. «In quanto abitante del Canton Giura e rappresentante di un'organizzazione attiva su tutto il territorio elvetico» osservò che non avrebbe mai potuto «permettersi di utilizzare la sigla SGV nella Svizzera romanda». Dominik Galliker, presidente della Direzione della Suva, riconobbe la critica «inizialmente come un problema soprattutto dei media e in misura minore anche della sfera politica».

      Il problema, tuttavia, rimase. Nel 1998 intervenne addirittura il Consiglio federale. Ruth Dreifuss, che insieme a Christiane Brunner fece parte del Consiglio di amministrazione della Suva fino al 1993, anno in cui venne eletta membro del governo nazionale, chiese di «utilizzare nella versione francese e italiana del rapporto annuale le sigle ufficiali CNA e INSAI». Fine del discorso.

      Cassa malati: «prevenire è meglio che rimborsare»

      Il confine tra speranza e delusione è sottile, come dimostra il tentativo della Suva di estendere la propria attività alla cassa malati. Già il 7 dicembre 1990, in occasione del suo discorso inaugurale dinanzi al Consiglio di amministrazione, Franz Steinegger aveva accennato che la Suva avrebbe dovuto chiarire la sua posizione in vista dell'introduzione dell'obbligo dell'assicurazione malattie. Nel 1991 la Suva partecipò alla consultazione relativa alla nuova Legge federale sull'assicurazione malattie e Steinegger comunicò che la Suva era «fondamentalmente interessata» a questo settore.

      Nella seduta del Consiglio di amministrazione del 3 luglio 1992 riferì in merito alle reazioni positive: «Una serie di prestigiose casse malati ha chiesto un colloquio per discutere in merito a una possibile cooperazione con la Suva». Già allora la Suva rivestiva un ruolo di precursore in materia di profilassi e contenimento dei costi. «Prevenire è meglio che rimborsare»: per Steinegger questa era la base per una «cassa malati della Suva».

      La Suva come «cavaliere bianco»?

      Anche il pubblico nutriva aspettative sempre più elevate nei confronti dell'impresa di diritto pubblico. A metà degli anni Novanta i premi delle casse malati subirono un'impennata, che non fu mitigata neppure con l'introduzione della Legge federale sull'assicurazione malattie il 1° gennaio 1996, e tra la popolazione regnava un forte malumore nei confronti delle assicurazioni malattie. Perché la Suva non avrebbe dovuto riuscire a imprimere una svolta? Aveva il know-how tecnico necessario e in più i dibattiti politici non avevano del tutto abbandonato l'idea di creare una sorta di cassa malati unica statale.

      All'interno della stessa Suva vi erano pareri contrari e il progetto suscitò controversie sin dall'inizio. Soprattutto i rappresentanti dei datori di lavoro misero in guardia dal pericolo di nutrire aspettative troppo elevate. Nel 1997, quando venne pubblicato il rapporto finale del cosiddetto progetto «Smaragd», Peter Hasler, allora direttore dell'Unione svizzera degli imprenditori, dichiarò che la Suva aveva «per così dire assunto il ruolo di ‹cavaliere bianco›, chiamato a risolvere il problema dell'assicurazione malattie nel nostro Paese».

      I rappresentanti dei datori di lavoro non erano soddisfatti del rapporto finale. Secondo Hasler era difficile «esprimere un'opinione definitiva in merito al progetto senza disporre di dati concreti, ad esempio come si svolge esattamente il progetto, chi è il partner e come si presenta, come sarà avviata precisamente la nuova attività e quali sono le conseguenze finanziarie». Si trattava di una decisione epocale, in seguito alla quale «se tutto dovesse andare storto [...] potrebbe essere l'inizio della fine della Suva nella sua forma tradizionale». Altrettanto scettici erano i rappresentanti dei lavoratori. «Anche nel nostro gruppo ci sono preoccupazioni, dubbi e incertezze a non finire» asserì Colette Nova, segretaria di direzione dell'Unione sindacale svizzera.

      Dimissioni del responsabile dopo il «fiasco» delle casse malati

      Nel 1998 il progetto «Smaragd» fallì. Sul piano politico non aveva alcuna possibilità, poiché le società assicurative private e le casse malati si opposero all'ingresso della Suva sul mercato. Si era scatenata una «guerra politica contro la Suva, o meglio contro la sua posizione di monopolio», come dichiarò Hasler in occasione della seduta del Consiglio di amministrazione del 3 luglio 1998. L'eventuale abbandono del monopolio era utilizzato come «argomento killer».

      A quel punto l'intero progetto era rovinato, come commentò Hasler, a causa della corresponsione di bonus a tre quadri direttivi per un importo pari a 100 000 franchi ciascuno nonché del pagamento di straordinari per 50 000 franchi. La società di revisione se ne accorse e la notizia fece scalpore nella Direzione.

      Quando le informazioni riservate giunsero ai media, Franz Steinegger fu colto di sorpresa. Nell'aprile 1998, quando ancora non era entrato in possesso del rapporto interno, aveva appreso dalla stampa che «20 membri del Consiglio e la maggioranza della commissione» erano pronti a far cadere il presidente della Direzione. Dominik Galliker, che rivestiva tale ruolo, era responsabile dei pagamenti effettuati. Ormai aveva perso la fiducia sia dei collaboratori che del Consiglio di amministrazione e nel giugno 1998 dovette dimettersi.

      Alla fine di novembre 1998 il progetto fu archiviato. Per la Suva si trattava di «un grande fiasco», commentò Peter Hasler nella seduta del Consiglio di amministrazione del 20 novembre 1998. «Questi episodi hanno recato un danno gravissimo all'immagine pubblica della Suva. Non possiamo più essere fieri di noi stessi; al contrario, è imbarazzante far parte di questo Consiglio di amministrazione». La Suva aveva gettato al vento 2,5 milioni di franchi per un progetto «il cui risultato è praticamente pari a zero» sottolineò Hasler.

      Una Suva più umile

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      Per la Suva era un vero dramma conciliare il mandato pubblico con il libero mercato. Franz Steinegger, presidente del Consiglio di amministrazione, vedeva però anche degli aspetti positivi.

      Suva aveva imparato a conoscere i propri limiti, affermò nel 1999 in un'intervista con la «Handelszeitung». Ormai ci si concentrava sulle competenze principali, nell'ambito delle quali si voleva ampliare l'offerta di prestazioni. Era l'inizio di un approccio nuovo, più umile.

      Anche il nuovo presidente della Direzione, Ulrich Fricker, affrontò il dilemma della Suva nel suo nuovo ruolo di impresa:

      ««Lo statuto di diritto pubblico e la ricerca del miglior risultato possibile non devono essere incompatibili» scrisse nel rapporto di gestione del 2000. E promise: «Impareremo in fretta!»»

      I limiti della libertà imprenditoriale

      Servivano capacità di apprendimento e flessibilità, perché dopo la vicenda delle casse malati anche la politica intervenne nei dibattiti relativi alla strategia. Da un lato occorrevano modifiche legislative per consentire l'ampliamento degli ambiti di attività (ad es. assicurazioni complementari o prestazioni per terzi), dall'altro si susseguivano le richieste di una completa liberalizzazione del mercato dell'assicurazione contro gli infortuni. Ciò avrebbe comportato una privatizzazione dei vari ambiti di attività della Suva e con grande probabilità la gestione di quest'ultima come organizzazione, altrimenti sarebbe stata troppo forte in un mercato liberalizzato.

      Alla base di queste richieste, provenienti soprattutto dall'UDC, vi erano le dinamiche della politica federale di allora. Nel 1999 il Consiglio federale aveva annunciato, nelle proprie linee direttive delle finanze, di voler privatizzare le «imprese statali». Un primo passo in questa direzione era già stato compiuto con la liberalizzazione parziale della Posta e delle FFS.

      Tra il 2000 e il 2002, in collaborazione con la Direzione della Suva, il Consiglio federale stilò il documento interlocutorio «Futuro dell'INSAI», che servì come base per il messaggio relativo a una modifica prevista della Legge federale sull'assicurazione contro gli infortuni. Nel 2003 sempre il Consiglio federale incaricò Franz Jaeger, professore all'Università di San Gallo, di svolgere un'analisi costi/benefici. Jaeger non constatò fallimenti del mercato, ma criticò la sovrapposizione tra contesto monopolistico e concorrenziale. Per questo la revisione della Legge federale sull'assicurazione contro gli infortuni, approvata nel 2015, si è attenuta alle strutture di base di diritto pubblico della Suva, anche ai vertici, con un Consiglio di amministrazione composto da 40 membri che oggi è denominato Consiglio della Suva. La nuova legge escludeva però il finanziamento incrociato delle cosiddette «attività accessorie». Nel 2017, pertanto, si è dovuto chiudere il laboratorio alla «Rösslimatt» di Lucerna, che dal 1920 realizzava prodotti di sicurezza.